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ARISTOTELE (etica: felicit ; virt etiche: il giusto mezzo) Prof. Michele de Pasquale tutte le azioni degli uomini sono finalizzate ad un bene supremo che deve ... – PowerPoint PPT presentation

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Title: ARISTOTELE (etica: felicit


1
ARISTOTELE(etica felicità virtù etiche il
giusto mezzo)
  • Prof. Michele de Pasquale

2
ETICA NICOMACHEA ETICA NICOMACHEA
oggetto e metodo della trattazione etica libro I cap I - IV
il problema del fine ultimo e della felicità critica delle opinioni altrui libro I cap. V - XII
la virtù in genere divisione in virtù dianoetica ed etica libro I cap XIII
le virtù etiche in generale definizione libro II cap. I - V
dottrina del giusto mezzo libro II cap. VI - IX
analisi dellatto umano volontà, deliberazione, proponimento libro III cap. I - V
le virtù etiche in particolare fortezza e temperanza libro III cap. VI - XII
liberalità, coraggio, temperanza, magnanimità, mansuetudine, giustizia libro IV
giustizia (distributiva, correttiva) diritto e giustizia equità. libro V
le virtù dianoetiche in generale libro VI cap. I - II
le virtù dianoetiche in particolare scienza, arte, saggezza, intelligenza, sapienza libro VI cap. III - XIII
lopposto delle virtù vizio e sregolatezza libro VII cap. I - X
il piacere libro VII cap. X - XIV
lamicizia (fondata sul piacere, sullutile, sulla virtù) libri VIII - IX
il piacere libro X cap. I - V
la felicità sommo bene contemplazione (teoria) libro X cap. VI - VIII
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  • tutte le azioni degli uomini sono finalizzate ad
    un bene supremo che deve essere un bene pratico,
    alla portata di tutti
  • la felicità (eudaimonìa)
  • la scienza a cui spetta il compito di determinare
    che cosa è la felicità e come luomo può
    conseguirla, è la politica
  • per Aristotele bene dellindividuo e bene della
    città sono strettamente intrecciati (ma non
    identificabili come in Platone) questo ambito
    unitario è oggetto della ricerca politica che si
    sviluppa secondo due prospettive, distinte ma
    convergenti

la ricerca delle forme con cui si è sviluppata la
società umana, lanalisi delle istituzioni più
idonee a favorire il conseguimento della felicità
da parte di tutti i cittadini politica
la ricerca della felicità e del modo per
conseguirla da parte del singolo etica
4
  • poiché ogni conoscenza ed ogni scelta
    aspirano ad un bene, diciamo ora che cosè,
    secondo noi, ciò cui tende la politica, cioè qual
    è il più alto di tutti i beni raggiungibili
    mediante lazione. Orbene, quanto al nome la
    maggioranza degli uomini è pressoché daccordo
    sia la massa sia le persone distinte lo chiamano
    "felicità", e ritengono che "viver bene" e
    "riuscire" esprimano la stessa cosa che "essere
    felici". Ma su che cosa sia la felicità sono in
    disaccordo, e la massa non la definisce allo
    stesso modo dei sapienti. Infatti, alcuni pensano
    che sia qualcosa di visibile e appariscente, come
    piacere o ricchezza o onore, altri altra cosa
    anzi spesso è il medesimo uomo che lintende
    diversamente quando è ammalato, infatti,
    lintende come salute come ricchezza quando si
    trova povero. Ma coloro che sono consapevoli
    della propria ignoranza ammirano quelli che fanno
    discorsi elevati ed a loro superiori. Alcuni,
    poi, ritengono che oltre a questi molteplici beni
    ne esista un altro, il Bene in sé, che è pure la
    causa per cui tutti questi beni sono tali.
    Orbene, esaminare tutte le opinioni sarebbe,
    certo, piuttosto inutile sarà sufficiente
    esaminare quelle prevalenti o quelle che
    comunemente si ritiene che presentino qualche
    particolare aporia. E non ci sfugga che cè
    differenza tra i ragionamenti che partono dai
    principi e quelli che ad essi conducono. In
    effetti, anche Platone faceva bene a porre questa
    questione e a cercar di capire se la strada parte
    dai principi o ad essi conduce, come nello stadio
    se il percorso va dai giudici di gara fino alla
    meta, oppure viceversa. Orbene, senza dubbio,
    noi dobbiamo cominciare da ciò che è noto a noi.
    Perciò occorre che sia stato rettamente educato,
    mediante adeguate abitudini, colui che intende
    ascoltare con profitto lezioni sul moralmente
    bello e sul giusto, cioè, in breve, sulloggetto
    della politica. Infatti, il punto di partenza è
    il dato di fatto, e, se questo è messo in luce
    con sufficiente chiarezza, non ci sarà alcun
    bisogno del perché chi è moralmente educato
    possiede i principi o li può afferrare
    facilmente. Ma chi non li possiede, né può
    afferrarli, ascolti le parole di Esiodo Luomo
    assolutamente migliore è colui che tutto pensa da
    sé buono è pure quello che presta fede a chi ben
    lo consiglia ma chi non è in grado di pensare da
    sé, né ciò che sente da un altro sa accogliere
    nel suo spirito, è un buon a nulla" .
    (Aristotele, Etica, I, cap. 4)

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  • in quanto fine delle azioni, la felicità deve
    essere qualcosa di autosufficiente, di
    desiderabile per se stessa (àutarches), di
    perfetto (tèleion)
  • di conseguenza la felicità non può consistere
    nel piacere dei sensi, nel possedere ingenti
    ricchezze, nellonore della vita politica
  • la felicità deve consistere nellesercizio di
    attività che sono proprie delluomo a livelli di
    eccellenza
  • poiché la facoltà propriamente umana è la
    ragione, la felicità consiste nellesercizio di
    attività connesse allimpiego della ragione a
    livelli di perfezione
  • esercizio delle virtù (aretè)

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  • si pensa, non a torto, che gli uomini
    ricavino dal loro modo di vivere la loro
    concezione del bene e della felicità. Gli uomini
    della massa, i più rozzi, lidentificano con il
    piacere e per questo amano la vita di godimento.
    Sono tre, infatti, i principali tipi di vita
    quello or ora menzionato, la vita politica, e,
    terzo, la vita contemplativa. Orbene, gli uomini
    della massa si rivelano veri e propri schiavi,
    scegliendosi una vita da bestie, e pur capita che
    se ne parli per il fatto che molti individui
    altolocati hanno le stesse passioni di
    Sardanapalo. Le persone distinte e predisposte
    allazione pongono il bene nellonore questo
    infatti, più o meno, è il fine della vita
    politica. Ma questo è evidentemente qualcosa di
    troppo superficiale rispetto a ciò che stiamo
    cercando si riconosce infatti che esso stia più
    in chi onora che in chi è onorato, mentre il
    bene, lo presentiamo, è qualcosa di intimamente
    proprio e di inalienabile. Inoltre, sembra che
    gli uomini aspirino allonore per poter credere
    di essere essi stessi buoni di fatto, cercano di
    essere onorati da uomini di senno, e da uomini da
    cui sono conosciuti, e in grazia della virtù è
    dunque evidente che, almeno per loro, la virtù è
    superiore e si farebbe presto a pensare che è
    piuttosto la virtù il fine della vita politica.
    Ma anchessa è troppo imperfetta si ammette,
    infatti, che sia possibile che chi possiede la
    virtù si trovi in stato di sonno o di inattività
    per tutta la vita, e che per giunta patisca i più
    grandi mali e le più grandi disgrazie ma nessuno
    chiamerebbe felice uno che vivesse in questo
    modo, se non per difendere, ad ogni costo la
    propria tesi. Il terzo tipo di vita è quello
    contemplativo, sul quale svolgeremo la nostra
    indagine in seguito. La vita dedicata alla
    ricerca del guadagno, poi, è di un genere contro
    natura, ed è chiaro che non è la ricchezza il
    bene da noi cercato essa, infatti, ha valore
    solo in quanto "utile", cioè in funzione di
    altro.
  •  

7
  • Perciò sarà meglio considerare come beni quelli
    menzionati prima, giacché sono amati per se
    stessi. Ma è manifesto che non sono fini ultimi
    neppure quelli per la verità, molte
    argomentazioni sono già state diffuse contro di
    loro. Lasciamo perdere, dunque, questi fini.
  • Ma torniamo di nuovo al bene che stavamo
    cercando che cosè? È manifesto, infatti, che
    esso è diverso in unazione e in unarte diversa
    è diverso nella medicina e nella strategia, come
    pure nelle altre arti. Che cosa è dunque il bene
    di ciascuna? Non è forse ciò in vista di cui si
    fa tutto il resto? E ciò in medicina è la salute,
    in strategia la vittoria, in architettura la
    casa, una cosa in unarte, unaltra in unaltra
    arte, ma in ogni azione e in ogni scelta è il
    fine è in vista di questo che tutti fanno il
    resto. Cosicché, se cè una cosa che è il fine di
    tutte le azioni che si compiono, questa sarà il
    bene realizzabile praticamente se vi sono più
    fini, saranno essi il bene.
  • Pur procedendo per altra via il ragionamento
    è giunto allo stesso punto ma dobbiamo cercare
    di chiarirlo ancora meglio. Poiché i fini sono
    manifestamente molti, e poiché noi ne scegliamo
    alcuni in vista di altri (per esempio, la
    ricchezza, i flauti e in genere gli strumenti), è
    chiaro che non sono tutti perfetti ma il Bene
    supremo è, manifestamente, un che di perfetto.
    Per conseguenza, se vi è una qualche cosa che
    sola è perfetta, questa deve essere il bene che
    stiamo cercando, ma se ve ne sono più, lo sarà la
    più perfetta di esse.

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  • Diciamo, poi, "più perfetto" ciò che è perseguito
    per se stesso in confronto con ciò che è
    perseguito per altro, e ciò che non è mai scelto
    in vista di altro in confronto con quelle cose
    che sono scelte sia per se stesse sia per altro
    quindi diciamo perfetto in senso assoluto ciò che
    è scelto sempre per sé e mai per altro. Di tale
    natura è, come comunemente si ammette, la
    felicità, perché la scegliamo sempre per se
    stessa e mai in vista di altro, mentre onore e
    piacere e intelligenza e ogni virtù li scegliamo,
    sì, anche per se stessi (sceglieremmo infatti
    ciascuno di questi beni anche se non ne derivasse
    nientaltro), ma li scegliamo anche in vista
    della felicità, perché è per loro mezzo che
    pensiamo di diventar felici. La felicità, invece,
    nessuno la sceglie in vista di queste cose, né in
    generale in vista di altro.
  • È manifesto che anche partendo dal punto
    di vista dellautosufficienza si giunge allo
    stesso risultato si ritiene infatti che il Bene
    perfetto sia autosufficiente. Ma intendiamo
    lautosufficienza non in relazione ad un
    individuo nella sua singolarità, cioè a chi
    conduce una vita solitaria, ma in relazione anche
    ai genitori, ai figli, alla moglie e, in
    generale, agli amici e ai concittadini, dal
    momento che luomo per natura è un essere che
    vive in comunità Per ora definiamo
    lautosufficienza come ciò che, anche preso
    singolarmente, rende la vita degna di essere
    scelta, senza che le manchi alcunché. Di tale
    natura noi pensiamo che sia la felicità. Inoltre
    pensiamo che la felicità sia il più degno di
    scelta tra tutti i beni, senza aggiunte (se fosse
    così, è chiaro che sarebbe più degna di scelta
    solo insieme con un altro bene, anche il più
    piccolo) infatti, quello che le fosse aggiunto
    sarebbe un sovrappiù di bene, e di due beni
    quello più grande è sempre più degno di scelta.
    Per conseguenza la felicità è, manifestamente,
    qualcosa di perfetto e autosufficiente, in quanto
    è il fine delle azioni da noi compiute.
    (Aristotele, Etica, I, capp. 5-7)

9
  • posto che la facoltà desiderativa dellanima
    (collegata alla sensitiva) e la facoltà razionale
    sono quelle che subiscono gli influssi della
    ragione, Aristotele suddivide le virtù in
  • le virtù etiche, in cui si manifesta leccellenza
    delle funzioni proprie dellanima desiderativa,
    sono concepite come disposizioni (hèxis) del
    carattere che si consolidano col ripetuto
    esercizio di azioni idonee a conformare in senso
    virtuoso il carattere
  • la posizione aristotelica si differenzia sia
    dalla morale aristocratica, secondo cui le virtù
    sono un patrimonio innato dei migliori, sia
    dallintellettualismo etico, secondo cui la virtù
    si acquisisce con la sola conoscenza

etiche (proprie dellanima desiderativa)
dianoetiche (proprie dellanima razionale)
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  • Poiché la felicità è una attività
    dellanima secondo perfetta virtù, dobbiamo
    prendere in esame la virtù, giacché così, forse,
    potremo venire in chiaro anche di quanto riguarda
    la felicità. Si ritiene anche, poi, che luomo
    politico autentico debba aver dedicato ad essa
    moltissime delle sue fatiche egli infatti vuole
    rendere i cittadini buoni e ossequienti alle
    leggi.
  • La virtù su cui si deve indagare, è chiaro,
    è la virtù umana, giacché è il bene umano e la
    felicità umana che stiamo cercando. Intendiamo
    poi per virtù umana non quella del corpo, bensì
    quella dellanima anche la felicità la definiamo
    attività dellanima. Se le cose stanno così, è
    chiaro che luomo politico deve conoscere in
    qualche modo ciò che riguarda lanima, Anche
    luomo politico dunque deve cercar di conoscere
    lanima, e cercare di conoscerla per le ragioni
    dette, e nella misura sufficiente per quello che
    stiamo cercando, giacché indagare con maggior
    precisione è forse fatica sproporzionata a quanto
    ci siamo proposti. una parte di essa lanima
    è irrazionale, e laltra è fornita di ragione.
    Se esse poi siano distinte come le parti del
    corpo e come tutto ciò che è divisibile in parti,
    .., non fa differenza per la presente
    argomentazione.
  • Di quella irrazionale, poi, una parte
    sembra essere comune anche ai vegetali (intendo
    quella che è causa della nutrizione e
    dellaccrescimento), giacché tale facoltà
    dellanima si può ammettere in tutti gli esseri
    che si nutrono, sia negli embrioni, sia, tal
    quale, negli esseri completamente sviluppati è
    infatti più probabile che sia la stessa piuttosto
    che unaltra. Dunque la virtù di questa facoltà
    è, manifestamente, una virtù comune, e non
    propria delluomo si ritiene infatti che questa
    parte, cioè questa facoltà, sia attiva
    soprattutto durante il sonno, e il buono ed il
    cattivo si differenziano molto poco nel sonno
    (ragion per cui dicono che per metà della vita
    gli uomini felici non differiscono in nulla dagli
    infelici che questo accada è naturale il sonno
    è inattività dellanima, per quella parte secondo
    cui essa può dirsi di valore o miserabile), a
    meno che, debolmente, pur le giungano alcuni
    movimenti, e che sia per questo che i sogni degli
    uomini per bene sono migliori di quelli degli
    uomini qualsiasi.

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  • Ma di queste cose basta e si può tralasciare la
    facoltà nutritiva, poiché per sua natura non ha
    alcuna partecipazione alla virtù umana. Sembra
    poi che ci sia anche unaltra facoltà naturale
    dellanima, irrazionale, ma tuttavia in qualche
    modo partecipe di ragione. Infatti, noi lodiamo,
    sia delluomo continente sia di quello
    incontinente, la ragione, cioè la parte razionale
    dellanima, giacché è essa che li esorta alle
    azioni più nobili. È manifesto poi in essi anche
    un altro elemento, che, per natura, è estraneo
    alla ragione, e combatte e contrasta la ragione.
    Proprio come le membra paralizzate quando uno si
    propone di muoverle a destra, si volgono, al
    contrario, a sinistra così avviene anche per
    lanima le inclinazioni degli incontinenti,
    infatti, si volgono in direzioni contrarie. Ma
    mentre nei corpi vediamo lelemento deviante,
    nellanima non lo vediamo. Nondimeno, certo,
    dobbiamo pensare che nellanima ci sia qualcosa
    di estraneo alla ragione, che ad essa si oppone e
    resiste. In che senso sia estraneo alla ragione
    non ha importanza. Anche questo elemento, poi,
    partecipa, manifestamente, della ragione, come
    abbiamo detto nelluomo continente ubbidisce di
    certo alla ragione, e forse è ancor più docile
    nelluomo temperante ed in quello coraggioso,
    giacché in essi tutto è in armonia con la
    ragione. Dunque, è manifesto che anche lelemento
    irrazionale è duplice. La parte vegetativa non
    partecipa per niente della ragione, mentre la
    facoltà del desiderio e, in generale, degli
    appetiti, ne partecipa in qualche modo, in quanto
    le dà ascolto e le ubbidisce. E questo nel senso
    in cui anche diciamo "accettare la ragione" del
    padre e degli amici, e non nel senso in cui
    diciamo "comprendere la ragione" delle
    dimostrazioni matematiche. E che lelemento
    irrazionale in qualche modo si lasci determinare
    dalla ragione, lo mostrano gli ammonimenti, i
    rimproveri e tutti i tipi di esortazione. Ma se è
    necessario dire che anche questo elemento
    partecipa della ragione, allora anche la parte
    che possiede la ragione sarà duplice luna la
    possederà in senso proprio e in se stessa,
    laltra nel senso che le dà ascolto come ad un
    padre.
  • Anche la virtù, poi, si divide
    conformemente a questa divisione dellanima.
    Infatti alcune le chiamiamo virtù dianoetiche
    altre virtù etiche dianoetiche sapienza,
    giudizio e saggezza, etiche invece liberalità e
    temperanza. Infatti, quando parliamo del
    carattere di un uomo non diciamo che egli è
    sapiente o giudizioso, ma che è mite o
    temperante però lodiamo anche il saggio per la
    sua disposizione e le disposizioni che meritano
    lode le denominiamo virtù. (Aristotele, Etica
    I,cap. 13)

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  • Aristotele assegna un ruolo fondamentale alla
    volontà (boùlesis), considerata la più alta
    funzione della facoltà desiderativa
  • per compiere unazione virtuosa si richiede il
    concorso della volontà nel senso che essa deve
    adeguarsi alla regola imposta dalla ragione
  • la regola è il medio tra due estremi, il giusto
    mezzo (ad esempio il coraggio è il giusto mezzo
    tra temerarietà e viltà) che non è definibile in
    astratto, ma volta per volta nellazione

13
  • Ma non dobbiamo soltanto dire che la virtù
    è una disposizione, bensì anche che specie di
    disposizione è. Bisogna dire, dunque, che ogni
    virtù ha come effetto, su ciò di cui è virtù, di
    metterlo in buono stato e di permettergli di
    compiere bene la sua funzione specifica per
    esempio, la virtù dellocchio rende valenti
    locchio e la sua funzione specifica noi,
    infatti, vediamo bene per la virtù dellocchio.
    Se dunque questo vale per tutti i casi, anche la
    virtù delluomo deve essere quella disposizione
    per cui luomo diventa buono e per cui compie
    bene la sua funzione. Come questo sarà possibile,
    già labbiamo detto ma sarà chiaro, inoltre, se
    considereremo quale è la natura specifica della
    virtù stessa. In ogni cosa, dunque, che sia
    continua, cioè divisibile, è possibile prendere
    il più, il meno e luguale, e questo sia secondo
    la cosa stessa sia in rapporto a noi luguale è
    qualcosa di mezzo tra eccesso e difetto. Chiamo,
    poi, mezzo della cosa ciò che è equidistante da
    ciascuno degli estremi, e ciò è uno e identico
    per tutti e mezzo rispetto a noi ciò che non è
    né in eccesso né in difetto ma questo non è uno
    né identico per tutti. Per esempio, se dieci è
    tanto e due è poco, come mezzo secondo la cosa si
    prende sei, giacché esso supera ed è superato in
    uguale misura. E questo è un mezzo secondo la
    proporzione aritmetica. Invece, il mezzo in
    rapporto a noi non deve essere preso in questo
    modo infatti, se per un individuo dieci mine di
    cibo sono molto e due sono poco, non per questo
    il maestro di ginnastica prescriverà sei mine
    infatti, può darsi che anche questa quantità, per
    chi deve ingerirla, sia troppo grande oppure
    troppo piccola Così, dunque, ogni esperto evita
    leccesso e il difetto, ma cerca il mezzo e lo
    preferisce, e non il mezzo in rapporto alla cosa
    ma il mezzo in rapporto a noi.

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  • Se, dunque, è così che ogni scienza compie
    bene la sua funzione, tenendo di mira il mezzo e
    riconducendo ad esso le sue opere (donde
    labitudine di dire delle cose ben riuscite che
    non cè nulla da togliere e nulla da aggiungere,
    in quanto leccesso e il difetto distruggono la
    perfezione, mentre la medietà la preserva), se i
    buoni artigiani, come noi affermiamo, lavorano
    tenendo di mira il mezzo, e se la virtù è più
    esatta e migliore di ogni arte, come anche la
    natura, essa dovrà tendere costantemente al
    mezzo. Intendo la virtù etica essa, infatti, ha
    a che fare con passioni ed azioni, ed in queste
    ci sono un eccesso, un difetto e il mezzo. Per
    esempio, temere, ardire, desiderare, adirarsi,
    aver pietà, e in generale provar piacere e dolore
    è possibile in maggiore o minore misura, e in
    entrambi i casi non bene. Al contrario, provare
    queste passioni quando è il momento, per motivi
    convenienti, verso le persone giuste, per il fine
    e nel modo che si deve, questo è il mezzo e
    perciò lottimo, il che è proprio della virtù.
    Similmente anche per quanto riguarda le azioni ci
    sono un eccesso, un difetto ed il mezzo. Ora, la
    virtù ha a che fare con passioni e azioni, nelle
    quali leccesso è un errore e il difetto è
    biasimato, mentre il mezzo è lodato e costituisce
    la rettitudine ed entrambe queste cose sono
    proprie della virtù. Dunque, la virtù è una
    specie di medietà, in quanto appunto tende
    costantemente al mezzo. Inoltre, errare è
    possibile in molti modi, mentre operare
    rettamente è possibile in un sol modo (perciò
    anche luno è facile e laltro difficile è
    facile fallire il bersaglio, e difficile
    coglierlo). E per queste ragioni, dunque,
    leccesso e il difetto sono propri del vizio,
    mentre la medietà è propria della virtù si è
    buoni in un sol modo, cattivi in molte e svariate
    maniere

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  • La virtù, dunque, è una disposizione
    concernente la scelta, consistente in una medietà
    in rapporto a noi, determinata in base ad un
    criterio, e precisamente al criterio in base al
    quale la determinerebbe luomo saggio. Medietà
    tra due vizi, tra quello per eccesso e quello per
    difetto e inoltre è medietà per il fatto che
    alcuni vizi restano al di sotto e altri stanno al
    di sopra di ciò che si deve, sia nelle passioni
    sia nelle azioni, mentre la virtù trova e sceglie
    il mezzo. Perciò, secondo la sostanza e secondo
    la definizione che ne esprime lessenza, la virtù
    è una medietà, mentre dal punto di vista
    dellottimo e del bene è un culmine. Ma non ogni
    azione né ogni passione ammette la medietà
    alcune, infatti, implicano già nel nome la
    malvagità, come la malevolenza, limpudenza,
    linvidia, e, tra le azioni, ladulterio, il
    furto, lomicidio. Tutte queste cose e quelle del
    medesimo genere derivano il loro nome dal fatto
    che esse stesse sono malvagie, e non i loro
    eccessi né i loro difetti. Dunque, non è mai
    possibile, riguardo ad esse, agire rettamente, ma
    si è sempre in errore e il bene o il male,
    riguardo a tali cose, non stanno nel commettere
    adulterio con la donna con cui si deve o nel
    tempo e nel modo opportuni, ma il semplice fatto
    di commettere una qualsiasi di queste azioni
    significa errare. Similmente, dunque, sarebbe
    assurdo ritenere che anche in relazione al
    commettere ingiustizia e allessere vile e
    intemperante ci siano medietà ed eccesso e
    difetto, giacché cosi verrà ad esserci una
    medietà di eccesso e di difetto, ed eccesso di
    eccesso e difetto di difetto. Ma come della
    temperanza e del coraggio non vè eccesso né
    difetto per il fatto che il mezzo è in certo qual
    modo un culmine, così neppure di quelle azioni
    cè medietà né eccesso e difetto, ma in qualunque
    modo siano compiute si è in errore infatti, in
    generale, non cè medietà delleccesso e del
    difetto, né eccesso e difetto della medietà.
    (Aristotele, Etica, II cap. 6)
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