Title: Modelli locali di sviluppo e Distretti Industriali
1Modelli locali di sviluppo e Distretti
Industriali
Anno Accademico 2006-7
di Cristina Brasili Dipartimento di Scienze
Statistiche - Università degli Studi di Bologna
2 Lezione di Giacomo Becattini14. Ho fatto un
sognoNel 1790, Pietro Leopoldo di Asburgo
Lorena lascia la Toscana, che ha governato per un
quarto di secolo, per Vienna, lasciandosi dietro
un immenso patrimonio di coraggiose riforme (es.
abolizione della pena di morte) e un documento
veramente straordinario le Relazioni sul governo
di Toscana, in cui descrive minuziosamente con
la maggior sincerità, verità e ingenuità così
dice tutte le parti del governo, sue aziende e
amministrazioni e tutte le province di Toscana.
Ebbene, io sogno una relazione annuale sulla
situazione del Paese di tipo leopaldesco, in cui,
oltre ai valori del PIL , che consentono ma più
in apparenza che in realtà confronti nel tempo
e nello spazio, ci si fornisca, con tutta una
batteria di indicatori, unidea di come si vive
nei luoghi, nonché sul morale delle popolazioni
ed in cui si descriva minuziosamente, magari
modellizzandola, per ogni luogo del Paese, la
struttura del processo produttivo del
benessere.Il progresso vero non sta, per me,
ripeto, nellincremento medio (una media
trilussiana) di un punto percentuale del PIL, ma
nella bonifica dei luoghi inquinati, nel
salvataggio di Venezia dalle maree, nella
costruzione dei cittadini della fiducia
nellazione pubblica, nella possibilità di
passeggiare nelle città senza avvelenarsi con lo
smog o il timore di scippi, e via continuando.
Il progresso di un Paese io lo vedo insomma, nel
miglioramento dei luoghi e nella prograssiva
trasformazione dei non luoghi in luoghi..
Giacomo Becattini, Sergio Vaccà Sistemi locali,
trans-locali e transnazionali Lectiones
Magistrales per il conferimento della Laurea
Honoris Causa Facoltà di Economia, Università di
Urbino Carlo Bo
3Modelli locali di sviluppo
Come avviene lo sviluppo locale quali sono I
fattori che lo promuovono?
Modelli interpretativi dello sviluppo economico
regionale e territoriale
- Modello Neoclassico (dualismo)
- Modello di sviluppo circolare e cumulativo
- Modello del filtro
- Modello della valorizzazione periferica
- (Crivellini e Pettenati, Modelli locali di
sviluppo in Becattini 1989)
4Modelli locali di sviluppo
Modello di sviluppo endogeno
I modelli di sviluppo endogeno nascono dalla
constatazione del fallimento dei modelli di
sviluppo esogeno (Modello neoclassico di Solow)
nello spiegare il persistere delle differenze tra
i sentieri di sviluppo delle diverse economie
5Modelli locali di sviluppo
Modello di sviluppo endogeno
- Diffusione maggiore nei primi anni Ottanta e
negli anni Novanta si rimuove lipotesi dei
rendimenti di scala costanti. - Romer (1986) propone lutilizzo dei rendimenti di
scala crescenti. Un aumento della conoscenza
provoca un aumento del prodotto complessivo - Lucas (1988) introduce un modello di learning
by doing per due beni riprendendo il celebre
lavoro di Arrow (1962) per spiegare il permanere
di prolungate differenze nei tassi di crescita.
6Modelli locali di sviluppo
Modello di sviluppo endogeno
In Italia gli studiosi dello sviluppo endogeno
privilegiano lo studio dei sistemi locali di
piccola e media impresa e cioè dei Distretti
industriali
- Perchè?
- Paradosso strutturale dellItalia (Signorini,
in Lo sviluppo locale, 2000) - Piccole e piccolissime imprese nei settori
tradizionali - Pronunciato dualismo Nord-Sud
- Produzioni a bassa intensità di capitale e a
basso contenuto tecnologico
7I Distretti Industriali
- Nel 1919 nei Principles of Economics, Marshall
afferma che unarea ad alta concentrazione di
piccole imprese si può definire distretto quando
sussistono le caratteristiche - La produzione è flessibile e cerca di venire
incontro alle diverse necessità dei clienti e, se
il cliente è un grossista, è in grado di
realizzare lintera gamma della serie produttiva
richiesta dal grossista - ci sono molte imprese piccole e molto piccole in
un dato territorio, tutte con lo stesso tipo di
produzione flessibile - fra queste imprese piccole, molto piccole o
medie, alcune vendono i loro prodotti
direttamente sul mercato, mentre altre eseguono
processi particolari o producono componenti di un
prodotto - la separazione delle imprese che vendono i loro
prodotti e quelle che operano come sub fornitrici
daltre imprese non è rigida una piccola impresa
può, in un dato momento, essere sub fornitrice e,
in un altro un venditore - le relazioni tra imprese che vendono sul mercato
assumono la forma di un intreccio fra
competizione e cooperazione ciò significa che le
imprese non combattono tra loro, ma cercano di
trovare spazi nel mercato per nuove produzioni
senza creare effetti distruttivi allinterno del
distretto industriale - il luogo è così definito perché si riferisce ad
unarea geografica molto limitata che è
specificatamente caratterizzata da una data
produzione dominante - cè una forte interconnessione fra il distretto
come realtà produttiva e come ambiente di vita
familiare, politica e sociale.
8I Distretti Industriali
Dal distretto marshalliano come categoria di
analisi ... alla sintetica definizione di
distretto di Becattini (1979), unentità
socio-territoriale caratterizzata dalla presenza
attiva di una comunità di persone e da una
popolazione di imprese in uno spazio geografico e
storico determinato ..
9I Distretti Industriali
- Ciclo di vita di un distretto
- (Carminucci, Casucci, Censis 1997)
- Un distretto industriale si può trovare in varie
fasi della sua vita - 1) LA SPECIALIZZAZIONE DI FASE elevata
parcellizzazione del processo produttivo - 2) LAREA SISTEMA INTEGRATA caratteristiche di
tipo endogeno, utilizzo quasi esclusivo di
risorse locali - 3) DELOCALIZZAZIONE fase di maturità
delocalizzazione degli impianti in areee a più
basso costo
10I Distretti Industriali
- (continua)
- Ciclo di vita di un distretto ( Censis 1997)
- 4) LA GERARCHIZZAZIONE CON CRESCITA PER LINEE
INTERNE per rispondere alla turbolenza dei
mercati reinternalizzano alcune fasi e funzioni,
emergono alcune imprese leader - 5) LA CONCENTRAZIONE DIREZIONALE le imprese
leader dellarea finiscono sotto la proprietà di
pochi soggetti interni - 6) LA GERARCHIZZAZIONE CON CRESCITA PER LINEE
ESTERNE le imprese pur rimanendo indipendenti
definiscono un sistema di accordi strutturati
come se si trattasse di ununica grande azienda - 7) IL RIPOSIZIONAMENTO spostamento su nuove
nicchie di mercato
11La struttura produttiva dei paesi
europei(distribuzione percentuale degli addetti
per classe)
Viaggio nelleconomia italiana, Saggine, Donzelli
Ed. 2004 di Pierluigi Bersani e Enrico Letta
Paesi Classi di addetti Classi di addetti Classi di addetti Classi di addetti
Paesi 0-9 10-49 50-249 gt250
Belgio 17.7 18.1 20.1 44.1
Danimarca 12.6 20.3 25.8 41.4
Germania 7.3 14.3 16 62.4
Grecia 16.2 28.4 28.3 27.1
Spagna 22.5 26.9 20.8 29.8
Francia 13.1 18.1 20 48.7
Italia 25 31 18.1 25.8
Lussemburgo 6.2 12.3 20.6 60.9
Olanda 13.5 16.1 20.3 50.1
Austria 13.7 18.9 29.3 38.1
Portogallo 17.5 27.2 29 25.6
Finlandia 9.6 13.8 20.8 55.9
Svezia 10.8 15 21 53.2
Regno Unito 12.8 14.9 20.2 52.1
Islanda 21.5 31 16 31.4
Unione Europea 13.7 19.4 19.5 47.4
Fonte Eurostat. Fonte Eurostat. Fonte Eurostat. Fonte Eurostat. Fonte Eurostat.
12Spesa totale in Ricerca Sviluppo 2001 (in sul
Pil)
Fonte Elaborazioni su dati Eurostat
13Il declino della grande impresa in Italia(quota
percentuale occupati nelle grandi imprese)
Fonte Censimenti Istat
14I Distretti Industriali
I Distretti Industriali nello sviluppo economico
italiano(Giacomo Becattini )
Prima peculiarità del sistema economico
italiano Il modello di specializzazione
industriale italiano NON è dominato da settori
industriali tecnologicamente impegnativi e/o
intensivi di capitale ma predominano settori ad
alta intensità di know-how, di design, di
fantasia e poco qualificati tecnologicamente. A
d esempio mobili, calzature, pelli, cuoio,
gioielli, articoli da regalo. LItalia si trova
in questo modo a competere negli stessi mercati
dei paesi in via di sviluppo piuttosto che con i
principali paesi industrializzati.
15I Distretti Industriali
I Distretti Industriali nello sviluppo economico
italiano(Il Sole 24 ore, 1992 )
- Propone una mappa dei distretti
- maggior numero al Nord, in embrione al Sud,
pochi al Centro - Non sono rilevanti le analisi settoriali.
- Esistono tre gruppi di prodotti
- Beni durevoli per le persone le relative materie
prime e i macchinari per produrli - Beni durevoli per la casa e le macchine per
produrli - Prodotti alimentari e dei macchinari annessi
16I Distretti Industriali
Made in Italy e distretti industriali(Becattini
, 1998 )
- E una risposta a bisogni specializzati
- Il Made in Italy distrettuale è composto da un
Made in Italy diretto di beni di consumo e da un
made in Italy indiretto dei beni strumentali
complementari ai primi
17I Distretti Industriali
I Distretti Industriali nello sviluppo economico
italiano(Giacomo Becattini )
Seconda peculiarità del sistema economico
italiano Come si è re-dislocata lindustria
manifatturiera nel secondo dopoguerra il
miracolo economico il motore dello sviluppo
industriale trainato dai settori classici
(metalmeccanico e chimico) sembra il Nord-Ovest
del paese e conferma il ruolo dominante del
triangolo industriale la svolta si avverte
tra il 1961 e il 1971, ma si afferma solo tra il
1971 e il 1981 1961-1971 Occupazione 18,
da 4.5 milioni a 5.3 milioni Nord Ovest 10
Nord Est e Centro 20 Sud 20 addetti, Le
imprese tra 11-50 addetti 31 1971-1981 Occupazio
ne 15, Nord Ovest rimane stabile, Nord Est e
Centro 35 (470.000 mila) Sud 300.000
addetti La grande industria perde 160.000
addetti Le imprese piccolissime 140.000
addetti Le imprese tra 10-49 430.000 addetti
18I Distretti Industriali
I Distretti Industriali nello sviluppo economico
italianoGiacomo Becattini
Terza peculiarità del sistema economico
italiano La presenza alla fine del 1991 di circa
200 sistemi locali manifatturieri di piccola e/o
medio-piccola imprese, che copre quasi metà
delloccupazione manifatturiera totale (valori
percentuali).
Sistemi locali di piccola e
22.5
25.6
64.4
media impresa
Sistemi locali di grande
29.1
26.6
32.0
impresa
Altri sistemi locali
48.4
47.8
42.4
Italia
100
100
44.3
19I Distretti Industriali
I Distretti Industriali nello sviluppo economico
italianoGiacomo Becattini
1981-1991 Nel decennio 1981-1991 questi sistemi
non solo non hanno perduto occupazione
nellindustria manifatturiera ma lhanno
acquistata. Nel quarantennio 1951-1991 ha avuto
luogo un mutamento radicale della nostra economia
industriale. LItalia ha scelto un metodo che
valorizza la personalità del produttore contro un
metodo che la comprime.
20I Distretti Industriali
Local Production Systems in Europe Rise or
Demise? Luigi Burroni Carlo Trigilia Oxford
University Press ,2001
- Ristrutturazione economica e distretti negli anni
Ottanta - Crisi del fordismo negli anni 70
- Saturazione del mercato finale, crescente
instabilita e segmentazione - Fine del sistema di Bretton Woods
(liberalizzazione degli scambi dal 1944) - Crisi petrolifera 1973-74
- Si creano rigidità, limitata flessibilità e alti
volumi produttivi grazie a tecnologie e basso
costo, labor saving - Si afferma un modello con sistemi di piccola e
media impresa con forti legami con le istituzioni
locali e specializzazione flessibile NEC (Nord
Est Centro)
21I Distretti Industriali
Local Production Systems in Europe Rise or
Demise? Luigi Burroni Carlo Trigilia Oxford
University Press ,2001
- Ristrutturazione economica e distretti negli anni
Ottanta - LISTAT identifica 199 distretti industriali con
più di 2 milioni di occupati nelle attività
manifatturiere
Sistemi locali di produzione Addetti ai SLP Distretti industriali Addetti ai DI
Nord Ovest 96 1,937,426 59 922,140
Nord Est 80 1,017,308 65 835,521
Centro 73 544,655 60 405,613
Sud 30 157,602 15 58,970
Italia 279 3,656,991 199 2,222,244
22I Distretti Industriali
Local Production Systems in Europe Rise or
Demise? Luigi Burroni Carlo Trigilia Oxford
University Press ,2001
- Organizzazione territoriale e cambiamenti negli
anni Novanta - Ci si chiede come reti locali si rapportano alla
globalizzazione, come reagiscono - La globalizzazione porta ad una
de-regionalizzazione delle attività produttive? - Ci sono tre possibili risposte
- De-localizzazione in Paesi a più bassi costi
- De-localizzazione di solo alcuni fasi produttive
- Alcuni distretti maturi diventano distretti
terziari e la fase produttiva viene
de-localizzata - Non necessariamente la globalizzazione aumenta
lindeterminatezza dei sistemi locali - La concentrazione territoriale della produzione
continua ad essere importante anche negli anni
90 con la globalizzazione
23I Distretti Industriali
Parchi tecnologici e scientifici e distretti
industriali. La lezione Marshalliana della
Silicon Valley, Maurizio Mistri, Argomenti , n.
18 2006 Rivista di Economia, Cultura e Ricerca
Sociale , Franco Angeli editore
- Competizione internazionale nei settori ad alta
intensità tecnologica - Un quasi-distretto inustriale il caso della
Sylicon Valley - Il ruolo della Stanford University
- Luoghi dinnovazione e mercato comunitario
24I Distretti Industriali
Local Production Systems in Europe Rise or
Demise? Luigi Burroni Carlo Trigilia Oxford
University Press ,2001
Organizzazione territoriale e cambiamenti negli
anni Novanta
Anno Sistemi locali di produzione di addetti al manifatturiero negli SLP sul totale nazionale Quoziente locale per gli SLP
1991 280 60,7 1.335
1996 292 61,2 1.385
Lanalisi si basa sugli SLL Censimento Intermedio
dell'Industria e dei Servizi Quoziente di
Localizzazione
25I Distretti Industriali
Local Production Systems in Europe Rise or
Demise? Luigi Burroni Carlo Trigilia Oxford
University Press ,2001
Sistemi locali di produzione per tipo di impresa
SLP di piccole imprese SLP PMI SLP di grandi imprese
Nord Ovest 14.0 51.6 34.4
Nord Est 19.2 51.9 28.8
Centro 42.4 39.2 18.6
Sud 30.0 24.0 46.0
26I Distretti Industriali
Local Production Systems in Europe Rise or
Demise? Luigi Burroni Carlo Trigilia Oxford
University Press ,2001
di SLP Italiani che registrano un aumento
delloccupazione tra il 1991 e il 1996
SLP di piccole imprese SLP PMI SLP di grandi imprese
Nord Ovest 6.5 64.5 29.0
Nord Est 13.3 53.4 33.3
Centro 32.4 35.1 32.4
Sud 22.2 25.9 51.9
Italia 19.2 44.8 36.0
27I Distretti Industriali
Sistemi Locali del Lavoro. Censimento
2001. LIstat diffonde oggi le informazioni sui
Sistemi Locali del Lavoro individuati in base ai
dati relativi agli spostamenti quotidiani per
motivi di lavoro, rilevati in occasione del 14
Censimento generale della popolazione.I Sistemi
Locali del Lavoro (SLL) rappresentano i luoghi
della vita quotidiana della popolazione che vi
risiede e lavora.
http//www.istat.it/salastampa/comunicati/non_ca
lendario/20050721_00/
28(No Transcript)
29I Distretti Industriali
I distretti nella legislazione italiana
- Allimportanza delle analisi territoriali in
Italia non ha fatto riscontro per più di venti
anni una politica volta ad un più esatto
riconoscimento delle peculiarità positive dei
sistemi locali di piccole e medie imprese ed in
particolare dei distretti industriali. - Solo nel 1991 si è avuto il riconoscimento
nominalistico con larticolo 36 della legge n.
317. E del 21 Aprile 1993 il Decreto attuativo
della legge 317, che detta i parametri per
lidentificazione dei distretti. Entrambi i
provvedimenti legislativi sono stati indirizzati
verso una definizione schematicamente
marshalliana del distretto. Lindividuazione del
distretto non è però un processo meccanico e
coinvolge specifici interessi locali come è stato
sottolineato nel 3 Rapporto CNEL/Ceris-Cnr,
1997. - Lapplicazione dei criteri per lindividuazione
dei distretti implica una approfondita analisi
del territorio e non tutte le Regioni hanno messo
in atto analisi in grado di sviluppare tali
competenze. Inoltre, i criteri per la definizione
dei distretti, individuati nel decreto del 1993,
sono cinque e devono essere rispettati tutti
congiuntamente.
30 I distretti nella legislazione italiana
- Nel 1991 si è avuto il riconoscimento
nominalistico dellesistenza dei distretti
industriali con larticolo 36 della legge n. 317.
- Il 21 Aprile 1993 il Decreto attuativo della
legge 317, che detta i parametri per
lidentificazione dei distretti. - Determinazione degli indirizzi e dei parametri
di riferimento per lindividuazione, da parte
delle regioni, dei distretti industriali - Le zone da prendere a riferimento per la
definizione sono una o più aree territoriali
contigue caratterizzate come sistemi locali del
lavoro così come individuati dallISTAT. In tali
zone devono essere verificate contestualmente le
seguenti condizioni - Un indice dindustrializzazione manifatturiera
calcolato in termini di addetti, come quota
percentuale di occupazione nellindustria
manifatturiera locale, che sia superiore del 30
dellanalogo dato nazionale. Le regioni nelle
quali lindice di industrializzazione
manifatturiera risulta inferiore a quello
nazionale possono assumere come valore di
riferimento il dato regionale - Un indice di densità imprenditoriale
dellindustria manifatturiera, calcolato in
termini di unità locali in rapporto alla
popolazione residente superiore alla media
nazionale - Un indice di specializzazione produttiva
calcolato in termini di addetti come quota
percentuale di occupazione in una determinata
attività manifatturiera rispetto al totale degli
addetti al settore manifatturiero, superiore del
30 dellanalogo dato nazionale. Lattività
manifatturiera posta a riferimento deve essere
riferita alla classificazione delle attività
economiche dellISTAT e corrispondere alla realtà
produttiva della zona considerata nelle sue
interdipendenze settoriali - Un livello di occupazione nellattività
manifatturiera di specializzazione che sia
superiore al 30 degli occupati manifatturieri
dellarea - Una quota di occupazione nelle piccole imprese
operanti nellattività manifatturiera di
specializzazione che sia superiore al 50 degli
occupati in tutte le imprese operanti
nellattività di specializzazione dellarea.
31 I distretti nella legislazione italiana
- Larticolo 317 e il Decreto ministeriale
accolgono e ripropongono in pieno la metodologia
didentificazione dei distretti proposta da
Sforzi (1987), che già sulla base dei dati del
12 Censimento della Popolazione (ISTAT) del 1981
e del 6 Censimento generale dellIndustria, del
Commercio, dei Servizi e dellArtigianato (ISTAT)
del 1981 aveva proposto una mappa di 61 distretti
industriali marshalliani sulla base dei sistemi
locali del lavoro. Sforzi definisce il distretto
industriale una categoria di analisi economica
alternativa al settore industriale e
allimpresa, inoltre esso possiede una sua
scala territoriale definita e delimitata con
riferimento al sistema di interdipendenze fra
imprese congregate, e fra queste e la comunità
locale, che coinvolgono un'industria localizzata
e una popolazione insediata.
32 I distretti nella legislazione italiana
- La legge Norme in materia di attività
produttive (Articolo 6.8) dell11 maggio 1999
supera supera le difficoltà legate ai 5 criteri
del Decreto del 1993 nellidentificare i
distretti industriali, e toglie il potere agli
indici statistici nellindividuazione delle aree
produttive locali. Tale legge libera le Regioni
dai rigidi vincoli statistici, nella speranza che
concedendo maggiore libertà nellindividuazione
delle aree produttive le regioni dimostrino
effettiva volontà politica di sostenere le
economie locali. Inoltre la legge definisce i
sistemi produttivi locali come contesti
produttivi omogenei caratterizzati da unelevata
concentrazione di imprese. Mentre definisce
distretti industriali quei sistemi che hanno
anche unelevata specializzazione produttiva.
33 I distretti nella legislazione italiana
Recentemente il tema dei distretti torna alla
ribalta Sylos Labini riformiamo le norme sui
distretti industriali La riforma delle norme sui
distretti industriali, in modo da creare un
ambiente più favorevole alle imprese e
contribuire alla rifondazione della base
industriale italiana. E' questo il nucleo della
proposta avanzata attraverso un disegno di legge
dall'economista Paolo Sylos Labini e sviluppata
nell'articolo pubblicato sul Sole 24 Ore del 15
luglio 2005. http//www.clubdistretti.it/Archivi
/archivi07/proposta-Sylos-Labini.htm
34 Per la riforma dei distretti e della base
industriale Bozza di un disegno di legge
fondato sulle proposte emerse nel gruppo di
lavoro costituito nellottobre 2004 dal Cnel e
che lo stesso Cnel potrebbe presentare in
Parlamento.
Articolo 1 Riorganizzazione del sistema dei
distretti Il sistema dei distretti,
disciplinato dalla legge del 1991, viene
riorganizzato nei modi e nei termini stabiliti
nella presente legge. Le norme si applicano alle
imprese che operano nei distretti esistenti.
Possono essere applicate, previo parere
favorevole dellorgano di cui allarticolo 2,
alle imprese che si costituiscono presso i
distretti nuovi e delle imprese che operano fuori
dai distretti, con particolare riguardo alle
imprese inserite in filiere produttive.
35- Articolo 2 Organo distrettuale di coordinamento
e dindirizzo - In seno a ogni distretto viene istituito un
organo distrettuale di coordinamento e di
indirizzo, dora in poi definito organo
distrettuale. Le modalità del funzionamento di
tale organo verranno definite per mezzo di un
protocollo dintesa fra le parti sociali
associazioni di industriali, artigiani e
commercianti e sindacati e le Regioni, cui
spetta un ruolo di grande rilievo. Il criterio
fondamentale, non derogabile, è di utilizzare
lavoratori o tecnici già operanti in ciascun
distretto o comandati da enti di ricerca e da
Università, sulla base di rapporti indicati
nellarticolo 6. - Lorgano distrettuale promuove i rapporti
diretti fra le imprese del distretto al livello
orizzontale nelle filiere produttive e i rapporti
verticali, fra le imprese e gli enti che si
occupano di ricerca e di formazione e promuove,
in ciascun distretto, la creazione di scuole e
istituti professionali e, dintesa con le
università, corsi di laurea e master post-laurea.
36- Articolo 3 Fondo di dotazione dellorgano
distrettuale - Per svolgere le sue mansioni
istituzionali ogni organo distrettuale disporrà
di un fondo di dotazione che si avvarrà dei
contributi non solo del governo, ma anche delle
parti sociali e delle Regioni, secondo quote
stabilite nel protocollo dintesa di cui
allarticolo 2 e che in parte potrà reintegrarsi
con le entrate derivanti dai contributi e dagli
anticipi compiuti per conto delle imprese.
Lorgano distrettuale è autorizzato a prendere
accordi con le banche e con le imprese sia per il
credito normale che per quello agevolato e
collabora con le imprese per la gestione degli
incentivi fiscali e creditizi e per limpiego di
fondi destinati alle innovazioni.
37Articolo 4 Mansioni dellorgano distrettuale
Allorgano distrettuale sono
attribuite cinque mansioni fondamentali.
Esecuzione per conto delle imprese di tutti gli
adempimenti amministrativi necessari per lavvio
e lattività delle imprese, fornendo servizi
dinformazione e di consulenza legale,
amministrativa, tecnica, finanziaria e fiscale.
Servizi di consulenza e di promozione delle
innovazioni provenienti dal sistema della ricerca
pubblica. Promozione dei rapporti con lUnione
europea. Sostegno organizzativo, anche dintesa
con gli organi di altri distretti o con organismi
europei, per progetti innovativi di speciale
rilevanza. Infine, dovrà collaborare con le
imprese e gli organi del governo centrale per
favorire gli sbocchi dei prodotti locali sia nel
mercato interno ed in quelli esteri.
38Articolo 5 Modalità per lunificazione degli
adempimenti Lunificazione
riguarda gli adempimenti pubblici locali e
centrali e i servizi di carattere pubblico. Fra
quelli pubblici rientrano gli adempimenti
fiscali, i permessi di edificare, gli infortuni
sul lavoro fra i servizi di carattere pubblico
rientrano gli allacciamenti per lacqua,
lenergia elettrica, il gas e per il telefono.
Per attuare gli adempimenti lorgano
distrettuale si doterà di un sistema telema-tico
attraverso il quale trasmettere le richieste alle
amministrazioni competenti, sulla base delle
dichiarazioni che rilasceranno le imprese sotto
la loro responsabilità. Lorgano distrettuale
richiederà le autorizzazioni anche prima della
effettiva utilizzazione, sotto la sua
responsabilità. Le amministrazioni competenti non
potranno opporre impedimenti alle richieste degli
organi distrettuali compiute secondo le regole
qui determinate.
39Continua -Articolo 5 Modalità per lunificazione
degli adempimenti Il ministero dellindustria
stabilirà i criteri che i distretti dovranno
seguire per assicurare la compatibilità dei loro
sistemi telematici, anche trasformando quelli già
esistenti. Lo stesso ministero assicurerà che
gli stessi criteri vengano via via adottati da
le amministrazioni locali e da quella centrale.
Nel frattempo gli organi distrettuali useranno i
mezzi di cui dispongono nei rapporti reciproci e
nei rapporti con le autorità centrali e locali e
i soggetti che amministrano servizi di carattere
pubblico. Articolo 6 Riorganizzazione della
ricerca applicata Lorgano
distrettuale promuoverà la riorganizzazione e lo
sviluppo della ricerca applicata, tenendo conto
della vocazione dominante in ciascun distretto e
promuovendo un centro di ricerca per la gestione
dei laboratori e per regolare i rapporti fra il
Centro, di cui al primo comma, gli altri organi
distrettuali, gli enti di ricerca, come lENEA e
il CNR, le Università e i centri di ricerca e gli
organi europei. Lorgano distrettuale favorirà la
collaborazione con gli organi professionali, a
cominciare con quello degli ingegneri.
40Articolo 7 Rapporti coi centri di ricerca e gli
organi europei Lorgano distrettuale
curerà rapporti sistematici coi centri di ricerca
europei, anche attraverso accordi, e con organi
dellUnione europea per promuovere sostegni
organizzativi e finanziari e contribuire alle
linee di una politica industriale europea.
Articolo 8 Sostegno organizzativo per progetti
di innovazioni di particolare rilevanza
Progetti di innovazioni di particolare
rilevanza, approvati dai governi dei singoli
Paesi e dagli organi tecnici dellUe e finanziati
almeno in parte con prestiti della Banca europea
degli investimenti possono godere dincentivi e
di particolare sostegno a livello nazionale e/o
a livello europeo. Le modalità del finanziamento
verranno stabilite con la collaborazione
dellorgano distrettuale, che potrà ricevere la
delega anche da imprese operanti fuori dal
distretto.
41Articolo 9 Formazione dei lavoratori
Lorgano distrettuale è autorizzato a promuovere,
dintesa coi sindacati, con gli industriali e con
le Regioni, il rafforzamento e lo sviluppo della
formazione di lavoratori, anche specializzati, e
di amministratori. Può inoltre sostenere i
sindacati qualora intendessero rafforzare ed
integrare, sulla base delle leggi esistenti, il
sistema della protezione dei lavoratori contro
gli infortuni. Articolo 10 Norme volte a
favorire il rafforzamento delle infrastrutture
specifiche Lorgano distrettuale,
dintesa con le Regioni e coi ministeri
competenti, prenderà le misure utili a facilitare
la costruzione o lampliamento delle
infrastrutture utili per i distretti.
42Articolo 11 Norme relative agli appalti
Lorgano distrettuale studierà, insieme con le
imprese, le modalità adatte a evitare catene
eccessivamente lunghe e complicate di appalti e
subappalti, che aggravano i costi e favoriscono
il lavoro nero. Articolo 12 Il problema
dellenergia al livello distrettuale
Lorgano distrettuale individuerà le forme più
adatte per rendere efficiente ed economico
lapprovvigionamento dellenergia per le imprese.
43 Una politica per i distretti?
- E possibile mettere in atto politiche per
estendere un simile modello ad altre aree? - La performance superiore nei distretti non
significa che siano miracolosi. - Non sembra che si sia finora trovato un
meccanismo, singolo, ben definito e riproducibile
capace di generare distretti.
La legge 317/91 prevedeva varie forme di
sostegno, per i distretti, prevalentemente
affidate alle regioni.In Italia esiste unampia
gamma di strumenti e sovvenzioni che privilegiano
le piccole imprese in quanto tali. Tale sistema
di sovvenzioni ha contribuito a rendere la
struttura produttiva italiana polverizzata. - Fondamentale il ruolo degli enti locali
- Un quadro normativo correttamente orientato non
basta - L.F. Signorini in Lo sviluppo locale, 2000
44 Una politica per i distretti?
- I Patti Territoriali
- Introdotti in Italia nel 1995, legge n. 341 8
agosta 1995, su proposta del CNEL (1991)
diventano effettivi con una normativa del CIPE
del 1997. - Con un atto del ministero del tesoro del 2001 si
trasferisce la competenza dei Patti Territoriali
alle Regioni -
45 Una politica per i distretti?
- I Patti Territoriali
- Definizione
- - Espressione del partenariato sociale.. Deve
essere caratterizzato da obiettivi di promozione
dello sviluppo locale in ambito subregionale
compatibili con uno sviluppo ecosostenibile - Un Patto Territoriale può essere attivato in
tutto il territorio nazionale ma sono
finanziabili solo i patti che rientrano nelle
aree obiettivo 1,2 e 5b dei Fondi strutturali - la strategia di sviluppo locale definito dal
partenariato sociale trova espressione in un
protocollo dintesa, sottoscritto da tutti gli
attori che danno vita al Patto - - il Patto può avere un finanziamento del CIPE
fino a 100 miliardi di lire e max il 30
destinato ad infrastrutture - il Patto viene approvato dal CIPE
- La partecipazione finanziaria dei proponenti deve
essere almeno del 30 - Si può dar luogo ad una società mista a
prevalente capitale pubblico
46 Una politica per i distretti?
- I Patti Territoriali
- Ne sono stati approvati 180
- Patti territoriali
47 Una politica per i distretti?
- Le sfide del futuro
- La globalizzazione
- Piccolo rimarrà bello?
- Levoluzione tecnologica ha effetti ambigui sulla
funzione di scala può accrescere o diminuire la
scala minima efficiente - L.F. Signorini in Lo sviluppo locale, 2000
48 Analisi quantitative sui distretti industriali
PER SIM e SCIENZE STATISTICHE ed ECONOMICHE (v.o.)
49I Distretti Industriali
Unanalisi quantitativa delle imprese nei
Distretti Industriali(F. Signorini )
- Tenta di rispondere alle domande
- Le piccole imprese appartenenti ai distretti
sono effettivamente diverse dalle altre? Questa
differenza si può misurare? - Parte dal presupposto che la relazione inversa
tra dimensione e redditività sparisce attorno al
1985 e si rovescia negli anni successivi. - Tre elementi caratterizzano un distretto
industriale - 1) la divisione del lavoro (specializzazione in
una sola fase del processo produttivo) unalta
di imprenditori e di lavoratori manuali tra la
popolazione attiva e un elevato tasso di
partecipazione femminile - 2) lambiente
- fattori culturali
- fattori infrastrutturali
- 3) la rete, consistente in connessioni sia a
monte che a valle (vantaggi competitivi)
50I Distretti Industriali
Unanalisi quantitativa delle imprese nei
Distretti Industriali(F. Signorini )
- Con quali variabili misurare leffetto
distretto? - Propone
- indicatori sullintegrazione verticale valore
aggiunto sul fatturato (il rapporto dovrebbe
essere più basso nei distretti), specializzazione
per fasi - indicatore di redditività tasso di profitto
(ROI) pari al rapporto tra profitto al lordo
degli oneri finanziari e capitale investito
(dovrebbe essere più alto nei distretti)
unitamente ad un costo del lavoro più elevato - produttività del lavoro valore aggiunto per
addetto (dovrebbe essere più alta nei distretti) - produttività globale (dovrebbe essere più alta
nei distretti) - struttura finanziaria effetto banca locale
(organismo nato e cresciuto nel distretto)
misurato dal rapporto tra debito finanziario e
valore aggiunto, costo del debito (superiore nei
distretti è lindebitamento)
51I Distretti Industriali
Unanalisi quantitativa delle imprese nei
Distretti Industriali(F. Signorini )
- Con quali dati e dove misurare leffetto
distretto? - Propone
- DATI
- Centrale dei Bilanci (1991)
- raccoglie i bilanci riclassificati di circa
30.000 imprese - Considera solo il settore laniero circa 500
- DOVE
- Distretto di Prato
- Biella
- Imprese isolate
52I Distretti Industriali
Unanalisi quantitativa delle imprese nei
Distretti Industriali(G. Pellegrini)
- Definisce il distretto
- Unagglomerazione locale di imprese di piccole e
medie dimensioni, tutte specializzate in
unattività produttiva, che beneficiano di
particolari vantaggi competitivi generati dalla
stessa comunità. - Alla base della metodologia statistica,
utilizzata dallautore per lindividuazione dei
distretti industriali, vi è lutilizzo dei
sistemi locali del lavoro proposti da Sforzi e
adottati dallIstat stesso ne derivano 784
sistemi locali sulla base della cui
specializzazione si derivano 199 distretti
industriali che nel 1991 assorbivano il 42,5
delloccupazione manifatturiera. - Lautore utilizza tre fonti ulteriori
- Centrale dei Bilanci
- INPS (modelli DM10) 1994
- CERVED
53Unanalisi quantitativa delle imprese nei
Distretti Industriali(G. Pellegrini)
La metodologia adottata Quali sono i
distretti? Aggregare tutte le imprese in SLL
identificare come distrettuali tutte le imprese
localizzate nei SLL che si qualificano come
distretti industriali. Tra di esse si è poi
differenziato tra quelle specializzate nella
produzione del distretto e quelle non
specializzate. Quali metodologie per valutare
le esternalità dei distretti? Specificazione di
una frontiera di produzione ( metodo parametrico)
nella quale il grado di inefficienza tecnica è
misurato in termini di residuo stocastico (che
misura la distanza dalla frontiera dovuta a
fattori di inefficienza). Il modello è stato
stimato per quattro settori negli anni 1990-1994
tessile e abbigliamento pelli, cuoio e
calzature legno e mobili meccanica.
54I Distretti Industriali
Unanalisi quantitativa delle imprese nei
Distretti Industriali(G. Pellegrini)
Il modello ln(Yit )ß0 ß1trendß2ln(Lit)
ß3ln(Kit)(vit-uit) Specificazione di una
funzione di produzione stocastica Cobb- Douglas
per ogni impresa i al tempo t Y è il valore
aggiunto L il numero di addetti, K il valore
delle immobilizzazioni materiali nette vit e
uit sono due variabili casuali Stima inoltre
linefficienza tecnica (uit )
55I Distretti Industriali
Sistemi produttivi locali e commercio estero
unanalisi territoriale delle esportazioni
italiane (R. Bronzini, 2000 in Signorini Lo
sviluppo locale)
- Lexport si può analizzare solo a livello
provinciale ben rappresenta il sistema di
produzione locale - Forte concentrazione territoriale dellexport le
prime due province più del 20 - Il Nord ha una buona propensione allexport
- Quota di esportazione distrettuale nel 1991 43,3
- Nel 1998 cresce e arriva al 45,8 (stessi
criteri). Trend crescente nel Nord-Est e nel
Mezzogiorno - Maggiori quote delle esportazioni distrettuali
nei settori tradizionali tessile cuoio e
calzature, altre manifatturiere e altre, legno e
mobili - Quote minori nei settori con maggiori economie di
scala (prodotti chimici, autoveicoli, mezzi di
trasporto) -
56I Distretti Industriali
Sistemi produttivi locali e commercio estero
unanalisi territoriale delle esportazioni
italiane (R. Bronzini, 2000 in Signorini Lo
sviluppo locale)
- Modello econometrico variabile dipendente
esportazioni per addetto della provincia in
rapporto alle esportazioni per addetto nazionali - Tra le variabili indipendenti grado di
distrettualità di una provincia, rapporto tra
addetti dei comuni distrettuali e il totale degli
addetti della provincia - Emerge
- Esistenza di un effetto distretto sulla
propensione alle esportazioni - Sono statisticamente significative sia le
economie di agglomerazione che le economie di
scala - Importante anche la dotazione infrastrutturale
nel favorire le capacità esportative
57I Distretti Industriali
Una metodologia per lindividuazione dei sistemi
locali di produzione alimentare di Cristina
Brasili
Proponiamo una metodologia di analisi che
consenta una localizzazione sufficientemente
precisa e convincente dei principali sistemi
locali di produzione alimentare. A tal fine sono
stati definiti ed utilizzati sei indici specifici
per lindustria di trasformazione alimentare,
calcolati a livello comunale. Gli indici si
riferiscono sostanzialmente alle caratteristiche
delle unità locali e degli addetti delle
industrie alimentari nel complesso, e agli otto
comparti di cui è costituita. Una prima analisi
a livello disaggregato molto dettagliato può
essere fatta utilizzando gli indici di
localizzazione, specializzazione e concentrazione
riportati di seguito. Si tratta di indici
strutturale di carattere generale che dovrebbero
essere integrati con informazione di carattere
socio-economico sulle relazioni distrettuali.
58I Distretti Industriali
Una metodologia per lindividuazione dei sistemi
locali di produzione alimentare di Cristina
Brasili
I sei indicatori proposti sono i
seguenti
indice di localizzazione
imprenditoriale
indice di
localizzazione
occupazionale
indice di concentrazione
imprenditoriale
indice di concentrazione
occupazionale
59I Distretti Industriali
Una metodologia per lindividuazione dei sistemi
locali di produzione alimentare di Cristina
Brasili
indice di specializzazione
indice di specializzazione
indice di specializzazione
indice di specializzazione
imprenditoriale
imprenditoriale
imprenditoriale
imprenditoriale
indice di specializzazione
indice di specializzazione
indice di specializzazione
indice di specializzazione
occupazionale
occupazionale
occupazionale
occupazionale
dove
U.L.
numero di Unità Locali di
produzione
dove
U.L.
numero di Unità Locali di
produzione
dove
U.L.
numero di Unità Locali di
produzione
dove
U.L.
numero di Unità Locali di
produzione
Add.U.L.
numero di addetti alle Unità Locali di produzione
Add.U.L.
numero di addetti alle Unità Locali di produzione
Add.U.L.
Add.U.L.
P
popolazione residente nel comune
P
P
P
h
comparto del settore alimentare
i
comune
aa
settore alimentare
0
totali nazionali
60I Distretti Industriali
Il criterio operativo adottato per caratterizzare
i singoli comuni è basato sulla regola iis ? 1
se Iis gt ?is ???is 0 altrimenti ? per
s 1, 2, ..., 6. La scelta di ?is ???is come
soglia di decisione è scaturita dalla necessità
di utilizzare un metodo omogeneo e uniforme, si è
inoltre scelto di attribuire la medesima
importanza, mediante lo stesso peso ?s, a tutti
gli indicatori, infatti ?s 1 ?s Ogni
indicatore è stato quindi trasformato in una
variabile dicotomica e per ogni comune si dispone
ora di sei variabili dummy (ii1 ,..., ii6 )
provenienti dalla trasformazione dei sei
indicatori utilizzati (Ii1 ,...,Ii6 ).
61I Distretti Industriali
I sistemi di produzione locale dellindustria
alimentare unanalisi economica, strutturale e
dellefficienza delle imprese di Cristina Brasili
e Elisa Ricci Maccarini
Meno di 20
1.649
1.617
1.609
88,1
92,2
88,8
49,0
50,1
48,5
Tra 20
-
100
4.208
4.351
4.136
84,8
85,4
80,2
50,4
52,5
50,3
Oltre 100
9.115
8.339
9.450
107,4
106,5
100,0
64,3
66,0
61,5
Fonte nostre elaborazioni su dati Cerved
62 I sistemi di produzione locale dellindustria
alimentare unanalisi economica, strutturale e
dellefficienza delle imprese di Cristina Brasili
e Elisa Ricci Maccarini
Meno di 20
5,3
5,0
5,7
23,9
21,6
22,8
3,2
3,1
3,2
Tra 20
-
100
5,0
4,1
4,7
19,1
16,7
17,5
1,3
2,2
1,6
Oltre 100
6,5
5,9
5,8
20,5
25,3
19,8
5,2
6,5
6,5
Fonte nostre elaborazioni su dati Cerved
63 I sistemi di produzione locale dellindustria
alimentare unanalisi economica, strutturale e
dellefficienza delle imprese di Cristina Brasili
e Elisa Ricci Maccarini
Tab. 4.3.1 Stime dei parametri della funzione di
produzione e dell
efficienza tecnica nelle imprese del settore
alimentare (anni 1996
-
1998)
Coefficiente
Errore
Statistica t
Standard
4,11
0,03
120,86
-
0,013
0,01
-
1,57
0
,72
0,01
85,27
0,22
0,01
38,33
-
4,03
0,83
-
4,83
1,07
0,45
2,36
-
4,98
0,82
-
6,06
-
0.35
0,85
-
0,41
-
0.70
0,46
-
1,52
0.93
0,45
2,06
2.36
0,62
3,83
2.10
0,61
3,45
1.13
0,59
1,93
0,32
-
3,65
-
1.19
-
2.25
0,38
5,89
-
1.44
0,34
-
4,23
-
0.19
0,30
-
0,64
g
0,82
0,01
86,63
Fonte nostre elaborazioni su dati Cerved
64 I sistemi di produzione locale dellindustria
alimentare unanalisi economica, strutturale e
dellefficienza delle imprese di Cristina Brasili
e Elisa Ricci Maccarini
significativo per t
1,645
0,05
significativo per t
1,960
0,025
65 I sistemi di produzione locale dellindustria
alimentare unanalisi economica, strutturale e
dellefficienza delle imprese di Cristina Brasili
e Elisa Ricci Maccarini
Stime dei parametri della funzione di produzione
e dellefficienza tecnica nelle imprese del
comparto della
trasformazione della carne (anni 1996
-
1998)
Coe
fficiente
Errore
Statistica t
Standard
4,28
0,06
65,49
-
0,01
0,01
-
0,51
0,73
0,01
49,68
0,18
0,01
19,35
-
3,67
1,17
-
3,31
0,55
0,49
1,13
1,14
-
3,74
-
4,26
0,86
0,16
0,14
-
0,09
0,49
-
0,19
3,47
1,07
3,24
3,60
1,09
3,30
0,59
-
0,21
-
0,12
-
1,05
0,37
-
2,86
-
1,10
0,37
-
2,96
-
0,85
0,35
-
2,45
0,32
-
0,79
-
0,25
g
0,82
0,01
57,30
Fonte n
ostre elaborazioni su dati Cerved
66 I sistemi di produzione locale dellindustria
alimentare unanalisi economica, strutturale e
dellefficienza delle imprese di Cristina Brasili
e Elisa Ricci Maccarini
significativo per t
1,645
0,05
significativo per t
1,960
0,025
67 Bibliografia sullo Sviluppo Locale e i Distretti
Industriali da studiare e disponibile in
Biblioteca tra il materiale del corso
1)INTRODUZIONE AI SISTEMI LOCALI DI PRODUZIONE E
ALLO SVILUPPO LOCALE, Cristina Brasili, Corso di
Politica Economica A.A. 2003/04 2) IL DISTRETTO
INDUSTRIALE MARSHALLIANO COME CONCETTO
SOCIO-ECONOMICO, Giacomo Becattini, in Stati
Informazioni, Rivista Trimestrale sul Governo
dellEconomia, 1991 3) IL CICLO DI VITA DEI
DISTRETTI INDUSTRIALI IPOTESI TEORICHE ED
EVIDENZE EMPIRICHE, Carlo Carminucci , Silvio
Casucci. FILAS di Roma, CENSIS di Roma. 4)
LEFFETTO DISTRETTO MOTIVAZIONI E RISULTATI DI
UN PROGETTO DI RICERCA, Introduzione di L.
Federico Signorini, in Lo Sviluppo Locale a cura
di L. Federico Signorini, Meridiana Libri,
2000. 5) POLITICHE ECONOMICHE E SVILUPPO LOCALE
ALCUNE RIFLESSIONI, Gianfranco Viesti, Sviluppo
locale, VII, 14, 2000 pp. 55-81. 6) Sylos Labini
Riformiamo le norme sui distretti industriali, Il
Sole 24 Ore, 15 Luglio 2005 7) Quadro normativo
storico PL. Bersani E. Letta Viaggio
nelleconomia italiana, Donzelli 2004 8) Parchi
tecnologici e scientifici e distretti
industriali. La lezione Marshalliana della
Silicon Valley, Maurizio Mistri, Argomenti , n.
18 2006 Rivista di Economia, Cultura e Ricerca
Sociale , Franco Angeli editore 9) UNA VERIFICA
QUANTITATIVA DELLEFFETTO DISTRETTO, L. Federico
Signorini, in Sviluppo locale, a. I, n. 1, 1994,
pp. 31-70. (solo SIM-europeo)
Sul libro di testo Valli, Politica Economica,
Carocci ED. 2005, Paragrafi 4.13 e 5.5